Il lavoro rapinato - La Stampa

2021-12-13 11:34:54 By : Mr. Harry Sun

La voce de La Stampa

L'accelerazione derivante dalla pandemia e la transizione green di interi settori

Tremila persone senza più lavoro perché l'azienda guadagna, sì, ma non abbastanza. Quindi sposta la fabbrica dove la produzione costa meno. La corsa al trasferimento non rallenta, l'ultima in ordine di tempo è la chiusura del Saga Coffee di Bologna, che porta l'attività tra Bergamo e la Romania, lasciando dietro di sé una scia di 220 licenziamenti. A tenere insieme tutti i casi che attraversano l'Italia è che l'immobile appartiene a multinazionali o fondi di investimento e che non si tratta di crisi aziendali: il mercato c'è, forse in evoluzione per la doppia transizione ecologica e digitale, ma la logica degli investitori guarda altrove.

Sul tavolo del governo c'è un decreto contro le delocalizzazioni, durissimo nella sua prima formulazione da parte del ministro del Lavoro Andrea Orlando e della viceministra allo Sviluppo Economico Alessandra Todde, che volevano sanzioni fino al 5% del fatturato per chi parte senza essere in crisi . Dopo il doppio no raccolto dal presidente del Consiglio Mario Draghi e dal ministro Giancarlo Giorgetti, ora Pd e 5S proveranno a riportare il provvedimento nelle pieghe della Finanziaria. Lo spazio politico è limitato, ma ci proveranno alla Camera con la versione soft del decreto: niente più sanzioni (considerate un disincentivo a investire in Italia), ma obbligo per le aziende di comunicare la propria decisione di partire con almeno tre mesi di anticipo e ad impegnarsi per la riconversione delle fabbriche abbandonate e la ricollocazione di chi resta a casa. L'obiettivo è evitare nuovi licenziamenti via mail, come al Gkn di Firenze, dove serviva un giudice per dire che non è così e bloccare tutto. Ma solo da tempo, perché il fondo americano Melrose non ha cambiato idea: si siederà al tavolo, ma per ribadire che se ne andrà.

"Non eravamo in crisi, ma durante la notte ci hanno detto che portano tutto in Romania", dice Antonio Ghirardi, sindacalista di Tinken, 105 dipendenti per produrre cuscinetti per l'industria nel bresciano. C'è l'impegno della multinazionale americana a favorire una riconversione della fabbrica che salverà tutti i lavoratori se arriva un nuovo investitore, ma la sostanza non cambia: l'unica concessione concreta è un anno di cassa integrazione. «La pandemia è stata il grande acceleratore di un fenomeno che purtroppo si poteva già intravedere prima - spiega Silvia Spera, che siede ai tavoli del Ministero dello Sviluppo Economico per la segreteria della Cgil -. I casi aumentano perché ci sono trasformazioni epocali che colpiscono interi settori, come quello automobilistico alle prese con l'elettrificazione». Il conto anche per elettrodomestici ed elettrodomestici, altre vittime della grande crisi pandemica: via il Riello di Pescara, l'Elica di Ancona, il Saga Caffè di Bologna.

«Nella maggior parte dei casi non sono nemmeno delocalizzazioni in senso stretto - aggiunge Michele De Palma, segretario della Fiom Cgil -. All'estero non vengono aperti nuovi stabilimenti: fondi e multinazionali sostanzialmente non fanno altro che riorganizzare l'attività, spostando le linee di produzione negli stabilimenti esistenti per fare più profitti o disimballare e rivendere. La questione della responsabilità sociale delle imprese semplicemente non viene presa in considerazione. È il Far West».

Se il decreto anti delocalizzazione non decolla, Sviluppo Economico ha provato a metterne una fetta con il fondo salva-impresa, voluto dalla stessa Todde, che ha individuato un salvagente che sa di antico: l'ingresso dello Stato nella capitale aziende destinate a scomparire o, in alcuni casi come la moda di Corneliani, ad emigrare all'estero. Il braccio operativo è Invitalia, impegnata in sette progetti che, secondo il Mise, valgono 2.000 posti di lavoro. «Ma la vera tutela dei lavoratori, di fronte alle grandi trasformazioni produttive in atto, si fa investendo in formazione e capitale umano - osserva Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt -. Regole più severe sono benvenute per non farsi ingannare dai grandi investitori, ma la vera necessità è attirarli qui e creare le condizioni perché non se ne vadano, per non punirli». -