"Il mondo sommerso" di J. G. Ballard: il secondo romanzo della Tetralogia degli elementi - OUBLIETTE MAGAZINE

2022-08-08 04:42:24 By : Mr. Roger zhang

Una consapevolezza amaramente socratica regala questo romanzo che, in una certa misura, non è né fantascientifico, né realistico, non essendo riferibile ad alcun genere, se non al proprio, specie letteraria appena sorta nel cosmo, retaggio genetico di altre, a cui si può assimilare, senza esagerare, e che ricorda alcune forme pregresse ed estinte da tempo, eppure destinate a nuove più brevi esistenze sul continente umano, a cui talvolta dimentichiamo di appartenere per puro caso e inesorabilmente. Io so di non aver compreso tutto, ma soltanto un’incerta parte del senso e del significato di Il mondo sommerso di J.G. Ballard.

“Di lì a poco il campo sarebbe stato eccessivo.” – il sole, come un domestico fedele che per decenni ti è stato al fianco, servendoti e riverendoti con infinita pazienza, ora è affetto da demenza senile per cui ogni tanto getta a terra i piatti e non sarà certo lui a doverli raccogliere. Mentre tu lo fai al posto suo, c’è il rischio che quello ti stampi un bel calcio nel sedere e che te ne scaraventi poi addosso altri tre o quattro.

Il sole da vari decenni ha surriscaldato in maniera folle il pianeta, che ora si sta ri-popolando di animali simili a quelli del giurassico: “uno dei sergenti alle dipendenze del colonnello Riggs” aveva avvistato “un’enorme lucertola con una gigantesca pinna dorsale che nuotava in una delle lagune e che, in ogni suo aspetto, non presentava alcuna differenza dal pelicosauro, un antico rettile preistorico della Pennsylvania.”

Vorrei enumerare ora (molti mi sono sfuggiti però) delle indicazioni geografiche, che indicano l’appartenenza a diverse parti del cosmo, anche se nella stessa pagina leggo una frase messa tra parentesi che m’inquieta “(Kerans non sapeva se un tempo fosse stata Berlino, Parigi o Londra)”, e una che mi rassicura: “la suite era stata concepita in origine per un finanziere milanese…” – sai quei tipi che la sanno molto più breve di quello che ti vogliono fare credere: una figura a suo modo immortale.

“Il Mediterraneo si era contratto in un sistema di laghi interni, le Isole Britanniche si erano ricongiunte alla Francia settentrionale…” – per cui forse William the Conqueror si stava rivoltando nella tomba. Anche Ivanhoe, forse.

“Negli Stati Uniti, il Middle West, colmato dal Mississippi che erodeva le Montagne Rocciose, si era trasformato in un enorme golfo che si affacciava sulla Baia di Hudson, mentre il Mar dei Caraibi si era trasformato in un deserto di sale” – con grande scorno di certi fregolosi turisti. “L’Europa era diventata un insieme di gigantesche lagune intorno alle principali città di pianura, inondate dai detriti trascinati verso sud dai fiumi in continua espansione…” – pare che anche l’Enza ne abbia tratto dei benefici, tanto che nessuno più diceva, per indicare uno che non scorgeva l’essenziale: a n t véd gnân ‘na gêra in d l’Èinsa, un umido deserto di ghiaia in agosto, che in settembre si trasforma in rigoglioso fiume.

Compio ora un’analoga e ugualmente difettosa raccolta di nomi di artisti e di letterati di cui è rimasta memoria in quel mondo che, pur senza essere perduto per l’eternità, è sommerso da quel liquido che quando non ci dà la vita, rischia di farcela perdere.

“… ora giungeva la musica di un altro disco: dalla Pastorale di Beethoven alla Settima, da Arturo Toscanini a Bruno Walter…” – temo non ci sia più un numero sufficiente di musicisti per costituire un’orchestra, per cui un maestro finirebbe per condurre solo se medesimo. “Sopra  la mensola del caminetto era appeso un enorme quadro risalente ai primi del Novecento, opera del surrealista Delvaux, nel quale donne dai volti cinerei, nude fino alla vita, danzavano in compagnia di elegantissimi scheletri in smoking contro uno sfondo spettrale di ossa calcificate…” – quadro che m’interesserebbe ammirare, e che Ballard cita anche più avanti; “su un’altra parete era appeso un quadro di Max Ernst che rappresentava una delle sue fantasmagoriche giungle autodivoranti che urlava silenziosamente in se stessa” – dei quadri neurologicamente assai interessanti, secondo me.

“… tombe riccamente decorate in stile fiorentino divelte e scrostate, i cadaveri che galleggiavano nei loro sudari come in una truce rappresentazione teatrale del Giorno del Giudizio”.    

Ecco un elenco di alcune tipologie di animali e piante: “Una zanzara anofele di dimensioni gigantesche, grossa come una libellula…” – chissà come sono le libellule allora, sempre che ne esistano ancora, ma credo di sì, l’ambiente dovrebbe essere loro favorevole; “iguane li osservano passare, muovendo a scatti impercettibile teste dall’aspetto marmoreo…”; “i rettili avevano preso possesso della città e, dopo milioni di anni, erano tornati a essere la forma di vita dominante…”; “strane forme botaniche che poi sarebbero divenute la norma, piante che ricordavano le gigantesche felci del periodo carbonifero…” – delle cui foglie erano così ghiotti quegli enormi rettili.

Il colonnello Riggs, che è il grande capo di tutti quanti, si affida molto a “Kerans, poiché la maggior parte delle persone che ancora vivevano nelle città che affondavano lentamente erano o psicopatici o sofferenti di malnutrizione o contaminati da radiazioni.” – in una situazione simile, se buona salute anche un mediocre fa la sua bella figura.

“Mentre il sole sorgeva sulla laguna, sospingendo nubi di vapore nell’immenso specchio dorato, Kerans avvertì acutamente il terribile fetore dell’acqua putrida, gli odori dolciastri e compatti della vegetazione marcescente e delle carcasse degli animali vivi.” – da cui si deduce che anche quelle degli animali vivi non sono così belle da meritare un’esposizione.

Kerans è un ottimista, non riferendo alcune stramberie a “una schizofrenia latente”, quanto a “un preciso adattamento all’ambiente radicalmente nuovo che lo circondava, con una propria logica intrinseca, secondo le quali le antiche categorie di pensiero non sarebbero state altro che un impiccio.” – la quale considerazione, opportunamente girata, può significare che il disturbo fisico è, al momento, patente.

“Forse era proprio questa assenza di ricordi personali che rendeva Kerans indifferente allo spettacolo di quelle civiltà affondanti. Era nato e cresciuto senza mai spostarsi all’interno di quello che, un tempo, era conosciuto come Circolo polare artico (ora una zona subtropicale con una temperatura media annua di venticinque gradi…” – un piccolo provinciale in altre parole.

Il Sole si era divertito in quei decenni, come un familiare bipolare si diceva, e le sue tempeste ormonali, mi si passi il termine, avevano sconvolto più di un’interazione fisica, e reso incandescente quello che viene definito, dai suoi stessi abitanti, il pianeta più azzurro.

Risolto pare invece il problema demografico (per quanto in maniera eccessiva): “La nascita di un bambino era diventata una rarità e soltanto una coppia su dieci riusciva a procreare…” – non si sa quante desideravano fare l’amore in quel caldo atroce.

Il colonnello auspica, ma non esige che Kerans e una certa Beatrice (mai nome fu così poco indicato in quel sterminato purgatorio) vadano via con lui, ma lei desidera rimanere a patire per i fatti suoi, mentre lui andrà o rimarrà a secondo di quel che gli indicherà il cuore.

Kerans è in vena di complimenti: “ricordati che non solo sei la più bella donna che c’è qui in giro, ma anche l’unica…”.

Un certo “Hardman” per due anni “era stato il perfetto cuscinetto tra Riggs e Kerans”, poi, gradatamente, aveva marcato visita, vivendo da recluso nella sua cabina. Prima di proseguire nell’analisi dell’evoluzione di quello che già pareva un problema, colgo una battuta di Bodkin che, adocchiando “una callitricida” (anch’io ho dovuto cercare su Google), dice che quella graziosa bestiolina “potrebbe diventare la forma di vita più alta presente sul pianeta”, ove venisse a mancare il più sedicente sapiens fra gli animali. 

Frase pesante, ma realistica: “Nulla dura più a lungo della paura” – che è connaturata all’anima umana, prezioso meccanismo di difesa anziché no; “ora noi stiamo precipitando nel nostro passato archeopsichico”, riscoprendo gli antichi tabù e gli istinti primordiali rimasti sopiti per migliaia di anni”, finendo per raccogliere “nel nostro inconscio i panorami caratteristici di ogni epoca, ognuno con un distinto terreno geologico e le sue uniche caratteristiche di flora e fauna, riconoscibili a chiunque altro proprio come lo sarebbero a qualcuno che viaggiasse sulla macchina del tempo di Wells.” – che sconvolgeva la mente, ma non così tanto da agire a livello neurologico. Bisogna assolutamente impedire “a questi spettri insepolti a impadronirsi di noi”.

Ecco profilarsi un sollievo per quell’indolente estetico che non mi vergogno d’essere: “Gli abiti sportivi italiani firmati non erano più de riguer e, se si fosse fatto vedere in giro con un completo color pastello con l’etichetta del Ritz, non avrebbe fatto altro che insospettire il colonnello.” – l’unica mezza gioia che mi donò la naja fu il poter indossare quella sciatta e un po’ stinta mimetica. Intanto, ma per poco, la raffinata Beatrice si nutriva “di pâté de foie gras e di filet mignon”.

Presto, Kerans “avrebbe abbandonato la convenzionale misurazione del tempo in relazione alle sue necessità fisiche e sarebbe penetrato nel mondo del tempo totale neuronico, dove la sua esistenza sarebbe stata ritmata sulla scansione degli immani intervalli del tempo geologico…” – non in minuti, ore, giorni o settimane, ma in “milioni di anni”.

Se Beatrice indugia un po’ nell’alcol va capita, anzi, lei osa persino lamentarsi, quando dice: “l’ultima cosa che voglio è sentirmi fare una predica”: come ogni vizio, l’alcol uccide lentamente e lei, a quanto pare, non ha fretta. Una notizia improvvisa: “Il tenente Hardman è scomparso!”

E più lo si cerca e meno quello appare, anche per ciò chi lo cerca desiste, facendosene una ragione: quel disgraziato è destinato a una vita più bollente che tiepida, e presto si rosolerà a fuoco lento: “Hardman non è un idiota: se vuole nascondersi non riusciremo mai a trovarlo” – da esperienze dirette con un affine bipolare devo ammettere che più frequentemente era lui a far fesso me che viceversa, fino a che non ho imparato le sue manovre dopo mie innumerevoli débâcle.

Scappa anche la pazienza a inseguire un pazzo che ha scelto una verità illogica ma tutta sua: “Che cosa diavolo lo spinge? Mi sta venendo la tentazione di farlo andare per i fatti suoi.” – così ha ormai deciso uno spazientito colonnello Rings.

“… Quale malattia ha una prognosi più certa e ineluttabile della vita stessa? Ogni mattina una persona dovrebbe dire ai suoi amici più cari ‘Mi rammarico per la tua morte irrevocabile’ come si dice a chiunque soffra di un male incurabile” – mo’ me lo segno, direbbe a quel punto Troisi.

Ora che i due solidali “avevano finalmente preso la loro decisione, i legami che li univano già cominciavano ad allentarsi, e il fatto che avessero deciso di vivere separati non era dovuto soltanto a ragioni di convenienza.”

Due spiriti liberi: “ognuno di loro avrebbe dovuto seguire il proprio cammino personale attraverso le giungle del tempo, segnandosi da sé i propri punti di non ritorno.” Ognuno a inseguire, oltre che i propri guai, “un susseguirsi di paesaggi sempre più strani che avevano la laguna come fulcro, ognuno dei quali, come aveva detto Bodkin, sembrava rappresentare un differente livello spinale.”

Ma c’è questa frase che faccio fatica a cogliere: “Tuttavia, nel suo rapporto con Beatrice, sotto una patina superficiale di estraneità, resisteva un legame intatto e incrollabile, una tacita consapevolezza dei loro rispettivi ruoli simbolici.” – la vita è un bieco alternarsi di tuttavia.

Ora appare Strangman, il nuovo capo, che indossa “un completo bianco la cui seta rifletteva gli intarsi dorati del suo trono rinascimentale, presumibilmente sottratto da una qualche laguna veneziana o fiorentina, e investiva la sua strana personalità di un’aura quasi magica” – appunto, magica. Come ha fatto a volare fin lì dall’Italia del nord oppure del centro?

“La giungla era immobile nel calore soffocante, gli alligatori nascosti nelle arre zone d’ombra disponibili.” – see you later alligator!

Quel monarca chiede a Bodkin se ha vissuto a Londra da bambino, ma quello non ricorda, (dice). Ora qualcuno, se può, mi spieghi questa frase di Strangman: “Il problema, con voi, è che siete rimasti qui per trenta milioni di anni e la vostra prospettiva è completamente sbagliata…” – e io che pensavo che non ne esistessero di sbagliate, quanto di abbagliate. Il capo dice che è più interessato ai “tesori del Triassico”; però sta seduto su quel trono rinascimentale.

“Un tempo, immaginò Kerans, il battello doveva essere stata una bisca galleggiante, ancorata oltre il limite delle acque territoriali di Messina o Beirut o rifugiata nella sicurezza di qualche estuario sotto i cieli più tolleranti a sud dell’equatore.” – una nuova linea d’ombra.

Il tutto sembrava un “set di un brutto film ambientato a Versailles, un guazzabuglio aereo di cupidi e di candelabri polverosi il cui ottone ormai opaco era ricoperto di muffa.”

Una miriade di oggettini: “urne votive, calici, scudi e vassoi, frammenti di armature, calami cerimoniali et similia.”, che “‘Sono come ossa,’ disse con voce piatta” Kerans, facendo scuotere la testa al monarca, che poco apprezza quella boutade, tanto che gli urla del pazzo, ma che la sua ciurma, fra cui spicca l’Ammiraglio, non fa che ripetere scioccamente e “sempre più rapidamente in una sorta di sfogo di nervi, con la faccia larga deformata dall’ilarità”.

Bodkin, “vagava per i canali sovrastanti il vecchio quartiere universitario…” – triste e solitario.

“Le possenti esplosioni portarono a galla una quantità enorme di anguille stordite, gamberi e somasteroidi” – ordine estinto di echinodermi, per la prima volta definiti nel 1951: che ci fanno lì?!

Strangman fa un complimento a Kerans: una sfera di perspex rinforzata da due semicerchi laterali di metallo e consentiva una visibilità pressoché totale. “‘Le sta a pennello, Kerans: sembra un uomo venuto dallo spazio… neuronico,’ aggiunse poi con una risata sarcastica.”

Kerans “… sollevò lo sguardo su quell’insolito zodiaco, osservandolo emergere di fronte ai suoi occhi come la prima visione di qualche Cortés pelagico che emergeva dalle profondità oceaniche per guardare gli immensi oceani del cielo aperto.”

Kerans ed io ci stiamo capendo davvero poco: “Il profondo strato di sedimenti lo sosteneva delicatamente come un’immensa placenta, infinitamente più soffice di qualsiasi letto avesse mai conosciuto. In alto sopra di lui, mentre la sua coscienza svaniva, poteva vedere le antiche galassie e nebulose scintillare nella notte uterina, ma alla fine anche la loro luce venne offuscata…”.

Un po’ come il castello di Kafka: “quel debole faro stava indietreggiando molto più rapidamente di quanto lui riuscisse ad avvicinarsi.”    

Il tempo perso si ritrova sempre, assicurava un folle ottimista: “Epoche fluttuarono. Onde gigantesche, infinitamente lente e avviluppanti, si frangevano per ricadere sulle spiagge senza sole del mare temporale, scaraventandolo inerme sulle secche.”

Non si sa se sia stato Kerans a provare a togliersi la vita o sia stata lei a cercare di sfilarsi di dosso da lui. Ironizza quell’autorevolissimo verme di Strangman: Kerans per il resto ella sua vita si sarebbe chiesto: “Ho cercato di uccidermi o no?”, a mo’ di un amletico “‘Essere o non essere?’ che sottolinea semplicemente l’incertezza del suicidio, piuttosto che l’eterna ambivalenza della sua vittima.” Anche per lui, “i motivi che l’avevano spinto a effettuare l’immersione gli restavano oscuri.” – e si era messo “nelle mani di Strangman, quasi come se stesse preparando il proprio omicidio.” Poco importa che fosse “mezzo pirata e mezzo demone”; l’importante era che Strangman “aveva un ulteriore ruolo neuronico in cui sembrava esercitare quasi un’influenza positiva…” – per cui si sentiva sempre più avvinto a quell’infame (così lo definisco io, il quale, tra le sue robacce, ha pure “un’immensa tela di un pittore della scuola del Tintoretto”, il cui titolo, anche se non si capisce dove l’autore, o quel dominus, abbia tratto l’informazione, è Il matrimonio di Ester e di re Serse. Io conoscevo un’opera della Gentileschi, ma in quel dipinto lo sposo era Assuero. Chi sia l’autore di questa crosta è un mistero che non m’interessa. Altri, più cogenti, premono).

Strangman ha il dono della facile facezia: dice a un Kerans smanioso: “Ma come, dopo trenta milioni di anni, non può aspettare atri cinque minuti? È fin troppo ovvio che io la sto riportando al presente.”

Ora che il suo piano (ignoro se sia quinquennale) è di prosciugare al più presto le lagune, in Strangman “ogni traccia della sua raffinatezza mondana e del suo laconico umorismo era svanita: ora era malvagio e astuto, lo spirito rinnegato dei bassifondi che tornava a solcare il suo scenario perduto.” – mentre la ciurma ancora continua a gridare “Signor Ossa! Signor Ossa…” – e a Kerans era capitato di leggere un cartello: “Coventry Street, Haymarket…” – la solita vita, insomma.

Boutade stavolta dello stesso Kerans: “Suppongo che Strangman direbbe che il suicida non dovrebbe mai tornare sul luogo del delitto…” – a quel tipo manca solo una e per dare un’idea di sé per quanto approssimata. Bodkin invita Kerans di partire, dicendogli che “qui il tempo non esiste più”. Quel gaudente di “Strangman danzava intorno al falò, costringendo talvolta Kerans a unirsi a lui e incitando i bonghi a ritmi sempre più frenetici.” – in un’assordante neuronic disco!

Dopo di cui “Kerans andava inerme alla deriva in un sogno semiconscio, il dolore attenuato dal rum che gli era stato cacciato in gola a forza…”.

Quella frattaglia umana che è al comando della zona lo sta ora tormentando in tutti i modi, anche se al momento “Strangman sembrava riluttante a ucciderlo e gli uomini dell’equipaggio riflettevano l’esitazione del loro padrone.” – Bodkin era morto, immagino per sempre, per cui riposi in pace per l’eternità quel folle giusto; Beatrice era prigioniera chissà dove.

Qualcuno comincia “a cantare quella che sembrava la salmodia di un antico culto haitiano” – non vorrei che fra poco spuntassero dei frenetici ballerini zombie.

Finalmente il prigioniero Kerans riesce a liberare una mano, con cui si massaggia “le labbra tumefatte” e, una volta libero e, seppur appena in forze, inizia la sua nuova peripezia.

In un attico devastato, rinviene un sacco di oggetti, fra cui libri “sparsi ovunque, molti di essi spaccati in due” – comunque leggibili, mi auguro. Ma chi avrebbe voglia di farlo, ora come ora? Unica prospettiva, finalmente chiara: “muoversi verso sud”.

Rispunta in questo momento Rings, che avrebbe l’autorità per sistemare Strangman, ma che non ne vede l’utilità, pur sapendo che animale quello sia. Per Kerans la migliore delle prospettive continua a essere emigrare Altrove.

“Sopra di lui il cielo era cupo e privo di nubi, di un azzurro blando e uniforme, più simile al soffitto interno di una profonda, irrevocabile psicosi che alla sfera celestiale e tempestosa che aveva avuto do di conoscere nei giorni precedenti.” Cammina sempre perché “è spaventato all’idea di riposarsi durante la notte”, per via delle golosissime iguane…

Incontra un mezzo scheletro vivente che gli fa: “Non lasciarmi qui, è un ordine! Adesso ti puoi riposare, mentre io faccio la guardia. Domani riprenderemo la marcia.”

Kerans lo riconosce, ma Hardman, duro come una pietra pomice, “non diede alcun segno di aver riconosciuto il proprio uomo”, quando Kerans gli lancia il vocativo. Quando si sveglia, quella scarsamente corporea visione svanisce da un’altra parte, misteriosa ma non più di tutto il resto.

Kerans fa mente locale sugli “eventi degli ultimi anni”.

Narra l’autore che “nel giro di qualche giorno si perse completamente” in quell’Eden entropico, quasi “un secondo Adamo alla ricerca dei paradisi dimenticati del sole rinato.”

Questo è il secondo romanzo (del 1962) della Tetralogia degli elementi. L’ho detto per primo, ma questo poco conta. Altri più spaventosi disastri incombono su di noi. E chi leggerà, forse vedrà. E Kerans, per sempre, ci dirà.

J.G. Ballard, Il mondo sommerso, Feltrinelli, 2015

Leggi la recensione de “Il vento dal nulla”

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