Addio amor: un racconto di vite migranti senza retorica

2021-12-06 06:55:50 By : Ms. Aiwa Xue

Presentato al Sundance Film Festival 2020, Farewell Amor è il primo lungometraggio del regista tan z aniana-americano Ekwa Msangi. Il film, distribuito in Italia da Mubi, racconta innanzitutto una storia di amore e migrazione, ma va oltre gli stilemi che solitamente caratterizzano questi generi cinematografici. Il film si apre con una scena in aeroporto. Walter - interpretato dal talentuoso Ntare Guma Mbaho Mwine - si riunisce con la sua famiglia a New York dopo 9 anni di separazione. Scampato alla guerra civile angolana, si trasferisce negli Stati Uniti per garantire un futuro migliore a Esther (Zainab Jah) e alla piccola Sylvia (Jayme Lawson) e sopravvive come tassista. Ma dopo un decennio di separazione, molte cose sono cambiate e i tre devono ritrovare una difficile normalità familiare. 

La trama di Farewell Amor è ispirata alle vicende dei due zii del regista che ancora faticano a riunirsi dopo decenni di separazione. È facile immaginare che la storia di Walter, Esther e Silvya sia anche quella di tanti migranti. Sono i modi in cui viene affrontato questo argomento, molto ricorrente sia in letteratura che nel cinema, che rende il film molto interessante. A differenza, ad esempio, di Chimamanda Ngozi Adichie in Americanah (Einaudi, 2014), Msangi lavora subito per depoliticizzare quasi completamente le personalità degli individui che racconta. Sì, questa è la storia di tre angolani: ma per stessa ammissione del regista-sceneggiatore questa è una storia di migrazione che assume il valore di una narrazione universale, al di là delle sue implicazioni specifiche. I protagonisti sono descritti a partire dai loro sentimenti, con tutte le difficoltà che incontrano nell'adattare la loro identità a un mondo nuovo. Tuttavia, il loro essere "altro" non si riduce solo a una prospettiva di lotta razziale. Al centro della narrazione non c'è la straordinarietà degli individui, che spesso serve a giustificare il loro pieno inserimento in una società occidentale: ci sono piuttosto le emozioni dei protagonisti, la loro interiorità così scandalosamente normale. 

Il film è diviso in tre capitoli dedicati ai tre protagonisti, un modo per permetterci di riesaminare e contestualizzare le vicende narrate. Nella prima Msangi si concentra sul punto di vista di Walter e sulla sua vita a Brooklyn lontano dall'Africa. Durante la prima notte con sua moglie, Esther confessa di essere rimasta single con lui, aspettando il momento in cui si sarebbero riuniti. Tuttavia, Walter non riesce a trovare l'intimità con la moglie perché è ancora innamorato di Linda, un'infermiera americana con la quale ha avuto una relazione. Il tanto agognato ricongiungimento per Walter si fonda dunque su una rinuncia dolorosa e su un perenne senso di inadeguatezza. Il ricordo della donna che aveva amato in Angola è rimasto soprattutto il ricordo, nonché del suo Paese verso il quale sente la nostalgia tipica di chi è costretto a vivere lontano dalle proprie radici. 

Il capitolo più dinamico è dedicato alla giovane Sylvia, che deve separarsi dal suo mondo e dai suoi amici per trasferirsi negli Stati Uniti - dove non solo deve relazionarsi per la prima volta con la figura paterna, ma anche fare i conti con l'americano scuola. . Qui, però, incontra DJ, interpretato da Marcus Scribner (Black-ish), con il quale instaura un buon feeling. Il ragazzo sembra capirla subito e non a caso le propone di iscriversi a una gara di ballo. Infatti, nonostante la madre dica di voler fare il medico, la giovane condivide in realtà con il padre la passione per la danza, interpretata nel film come mezzo espressivo e liberatorio. Le scene più intense dell'intero film sono proprio quelle in cui Walter e Sylvia ballano: la prima una lenta e sensualissima Kizomba con Lisa, la ragazza un intenso e vitale assolo di Kuduro davanti a un pubblico pronto a farla a pezzi. 

“In questo Paese i neri non hanno una vita semplice, soprattutto se sono stranieri. Devi sempre comportarti in un certo modo, in modo che i bianchi non si sentano minacciati. È solo quando ballo che sento di avere un posto dove essere me stesso. In cui mostrarmi. Sii te stesso, sei l'unico che sa ciò che sa e può fare ciò che fa. " - Walter (Addio Amore)

Infine, il film si chiude mostrando la storia di Esther, che si ritrova a dover ricominciare da capo in una terra che non sente sua. In attesa del visto per lavorare, la donna trascorre gran parte della giornata in casa, pulendo e pregando. Di lei sappiamo che dopo la guerra lasciò l'Angola e si trasferì in Tanzania, dove per sentirsi parte di “una comunità” entrò a far parte di un fervente gruppo religioso. Questo bisogno di appartenenza sembra utile per mitigare il caos, ma lontana dal suo gruppo Esther acquisisce una nuova consapevolezza di sé che la porta a mettere in discussione le sue certezze religiose - e quindi ad entrare in una profonda crisi di identità. 

"Sorella Redempta, sento solo che il nostro è un gioco impari" - Esther (Addio Amor)

La bellezza di questo film sta proprio nel forte senso di empatia che vuole instaurare con noi, facendo appello anche a una certa storia di sentimenti ea un senso di malinconia - o meglio, di saudade - che riesce a colorare i personaggi. Intervenendo al Q&A organizzato da MUBI per l'uscita del film, Msangi spiega efficacemente perché ha deciso di raccontare questa storia: “La maggior parte dei film che ho visto o che sono diventati popolari sono basati su un sistema hollywoodiano, generalmente parlano di casi eccezionali di migranti africani, o dei casi più complicati, di africani con le maggiori difficoltà. Sì, sono storie di migranti, ma non mi interessava molto parlare degli aspetti politici dell'immigrazione. […] È più difficile per le persone relazionarsi con la storia se si tratta di un problema politico specifico, di cui forse non sono mai state vittime, certo possono provare compassione, ma tutti hanno sperimentato delusioni d'amore, hanno sentito una mancanza, tutti sappiamo cosa significa essere nuovi in ​​un ambiente totalmente estraneo. Penso che il modo per riconoscerli come individui sia conoscere i loro sentimenti. "

In questo senso Farwell Amor è una storia di addii - addii - e non, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, una storia di ricongiungimento. Alla fine del film non sappiamo davvero cosa ne sarà dei protagonisti, se riusciranno davvero a essere una famiglia superando i propri drammi personali. Sta allo spettatore immaginare la possibilità di una riconciliazione più profonda, ovvero la definitiva separazione emotiva - e fisica - dei tre protagonisti.

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