Unità d’Italia, Mezzogiorno, Voto (e le regioni troppo Regioni) - Il Riformista

2022-09-24 01:46:05 By : Mr. Eric Hua

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Hanno tutte la lettera maiuscola le parole importanti del titolo di quest’analisi. Perché unità del Paese, mezzogiorno e voto hanno tutti un significato collegato per la tenuta del sistema democratico senza polarizzarlo, estremizzarlo, esasperarlo. Ci sono anche le regioni. Non dimentichiamolo. Quest’ultime, da quando c’è stata la riforma del titolo V della Costituzione vent’anni fa circa, si sono trasformate in surrogati di potere centrale per effetto della larghissima competenza legislativa esclusiva o concorrente (a seconda dei casi) loro attribuita. Bene o male c’è da prendere atto che le Regioni sono il luogo di prossimità più marcato per i cittadini dopo i comuni. Effetto derivato dall’abrogazione delle provincie quali enti di diritto elettorale diretto.

Proprio le provincie fungevano (nella logica di intenderle luogo elettorale) da cuscinetto delle autonomie a cui la Costituzione stessa ispira tutt’oggi l’art. 5 (riferimento al principio del “più ampio decentramento” possibile). Decentramento, però, non sta a significare “ognuno faccia come gli pare”. Allo stesso modo ciò valga per le regioni a cui la chiave di scrittura autonomista del titolo V ha dedicato una identità iper-differenziata in termini politici e, indirettamente, anche economici (basti pensare all’art. 119 Cost. che esclude ogni garanzia dello Stato sui prestiti contratti dagli enti politici regionali, provinciali, comunali) Sotto questo aspetto una sorta di “autonomia differenziata” (non spinta all’estremo) esiste già.

Quel che propone una certa parte politica è di renderla ancor più netta e marcata a tal punto da far emergere sempre più le autonomie capaci di assumersi le responsabilità della gestione ottimale della cosa pubblica. Un certo profilo di ragionamento logico l’assunto per cui “chi meglio sa governare, meglio può spendere, investire, ecc.” ha una ragion d’essere, ma ciò non può che tradursi in un disguido politico e costituzionale se consideriamo i punti di partenza da cui prendere spunto. Un conto è dire “abbiamo fatto l’Unità d’Italia, tutte le Regioni partono dalle stesse potenzialità, dagli stessi soldi, dallo stesso grado di istruzione, dalle stesse dotazioni scolastiche, ecc. cosicché si generi una sorta di federalismo competitivo e controllato”.

Altro conto è dire, invece, che “fatta l’Italia, dobbiamo considerare la diversità regionale e territoriale a tal punto da strutturare politicamente dei calmieri sociali di sviluppo, dei vasi comunicanti economici in perenne contatto, una equa distribuzione del sacrificio e se poi c’è chi fa meglio va premiato senz’altro, ma senza portare il Paese a scollarsi”. Lo scollamento, soprattutto, è il pericolo primario che si può generare con il federalismo competitivo piuttosto che cooperativo (ma in quest’ottica le regioni indietro non devono sollazzare così come quelle più avanti non devono imporsi in maniera sprezzante).

Il fatto che il Governo, ad esempio, abbia destinato a bilancio 80% percento di 73,5 miliardi alle regioni del Mezzogiorno (fonte Palazzo Chigi, Ministero per il Sud su governo.it), in ordine al programma europeo Next Generation EU e alle dinamiche del Fondo di coesione e sviluppo 2021-2027, la dice lunga su quanto l’autonomia differenziata spinta potrebbe portare al collasso delle Regioni depresse, esautorate negli anni di capitale umano ed economia virtuosa, ecc. C’è quindi da considerare che il Paese è un tutt’uno e se solo si scavasse nella storia avremmo le risposte per l’oggi e per il futuro.

Quando vi fu l’Unità d’Italia (come affermano Arangio Ruiz e Sabino Cassese), semplicemente, si estesero gli istituti e le istituzioni del Regno di Sardegna su tutta la penisola senza creare una unità amministrativa differenziata a seconda delle esigenze territoriali, senza garantire concretamente l’autonomia e le identità regionali come collante di quella diversità che legittimasse, appunto, un Paese miscelatamente federale, ma unito in tutto e per tutto al tempo stesso. Far oggi il processo inverso è, pertanto, suicida.

Siamo nel 2022 e la storia si ripete pur con profili cambiati:

Andare a votare, farlo con rispetto per chi ha pensato e lottato per l’Unità d’Italia e per chi ha lottato per renderci liberi dotandoci di una Costituzione “ispirata ed ispirante”, significa capire che chi oggi vuole un Sud assistito lo sta consegnando lentamente ad un certo Nord che ha necessità di foraggiare il divisismo politico e sociale per sentire appagati i desideri di un neo-sovietismo (di per sé già federale nella dimensione storica dell’Urss) recondito e maldestro.

Torniamo a votare e torniamo a farlo con serietà, senza farci ingolosire dal voto ai giovani per un Senato che dovrà rappresentare, invece, le dialettiche dei più maturi e senza farci trascinare nell’assurda storia che il Sud e il Nord sono due cose diverse. Il Sud e il Nord sono l’Italia, Unita. E qui occorrerebbe dire “basta regioni troppo Regioni”. Ne va della “salute” del Paese. Forse bisogna partire proprio da qui. Dalla salute non differenziata, ma omogeneamente distribuita. Va unita anche quella economica senza dimenticare che tutto ciò passa da una cosa sola: il grado d’istruzione, l’alfabetizzazione e la centralità della scuola in un Paese che diserta ormai da anni l’appuntamento con la natalità e la valorizzazione della funzione educativa delle famiglie. L’unità del Paese passa, soprattutto, da quest’ultime “Questioni” al pari di quelle con le iniziali maiuscole del titolo di questa analisi.

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Il Riformista è una testata edita da Romeo Editore srl - PIVA 09250671212 e registrata presso il Tribunale di Napoli, n. 24 del 29 maggio 2019 - ISSN 2704-8039